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Firenze e la zona rossa. Il momento di essere tutti più responsabili

di Cristina Giachi

Nel mentre diventiamo regione rossa, si manifestano umori sconcertati, arrabbiati, dubbiosi. Molte opinioni sono comprensibili dal punto di vista di chi le manifesta, anche quando non sono pienamente condivisibili. Ci sono oggettivamente molte critiche che possono essere mosse al modo in cui il sistema intelligente dei colori per indicare le fasce di gravità della pandemia è stato applicato. Fa bene il presidente Giani a chiedere che i dati vengano considerati al loro ultimo aggiornamento, e può risultare sconcertante il passare da una fascia all’altra in modo repentino e improvviso. Ma c’è un ma. Il parametro che ci colloca nella fascia di attenzione massima è l’RT, il fattore di replicazione del virus: quanti contagiati a partire da un positivo infettivo accertato. Nell’ultima tabella il nostro RT è 1,8, uno dei peggiori d’Italia. Tra i 21 indicatori presi in esame, l’RT è forse quello che dovremmo sentire più nostro come cittadini: è senz’altro il parametro sul quale ciascuno di noi può, con la sua condotta, direttamente intervenire poiché praticando il controllo della vicinanza tra noi, usando la mascherina ed evitando gli assembramenti possiamo abbattere la capacità del virus di diffondersi, interferendo con i suoi naturali processi di espansione. Critichiamo pure le decisioni, coltiviamo le nostre opinioni, ma rendiamoci conto dell’enorme potere che abbiamo insieme. Messe da parte la rabbia e la paura, esercitando ognuno la nostra responsabilità possiamo compiere l’impresa collettiva di fermare il virus. Le chiusure, i controlli, le misure restrittive sono necessarie perché molti di noi non vogliono o non sono capaci di essere responsabili. Invece, indossando sempre la mascherina, stando a distanza, lavando spesso le mani, evitando di assembrarci potremmo davvero farcela. E presto. Non è un grosso sacrificio e credo che lo dobbiamo a quanti non si risparmiano nelle corsie degli ospedali, a chi sta chiudendo un’azienda o perdendo il lavoro, a chi vorrebbe e non può andare a scuola, a chi è malato ed è solo e disorientato.

Fonte: La Nazione Firenze, 15 novembre 2020